Missione Kenya ottobre 2014

Tuum è un villaggio di qualche centinaio di abitanti nel nord del Kenya, in terra Samburu ma quasi al confine con la regione Turkana. E’ dolcemente adagiato alle pendici del monte Nyiro, che ad est del villaggio si erge come una muraglia minacciosa di foresta fitta che sovrasta la savana. Il monte ha un forte significato simbolico ed accoglie i riti di iniziazione dei giovani guerrieri samburu. Gli anziani dicono che la cima non si conceda facilmente agli stranieri e che spesso sia incappucciata dalla nebbia quando arriva qualche visitatore da lontano.  Posso testimoniare che è in buona parte vero.
Ad ovest e a nord di Tuum invece la vista si perde su un paesaggio sconfinato di acacie e terra rossa. E’ una terra selvaggia e dura: l’acqua scarseggia, non c’è traccia di asfalto, spesso le piogge le rendono le poche strade del tutto impraticabili. La maggior parte degli abitanti, come anche nei villaggi vicini, sono pastori. L’agricoltura è quasi inesistente.
L’obiettivo della nostra missione in Samburu è proprio qui.
A Tuum vive Alfred, con la sua famiglia. Alfred quest’estate è diventato parte della grande famiglia di Find the Cure. E’ venuto in Italia ad agosto per accompagnare la figlia, la piccola Sylvia, affetta da una grave cardiopatia congenita, per un intervento chirurgico salvavita. Sylvia purtroppo non ce l’ha fatta, papà Alfred è tornato in Kenya da solo. La vita, che aveva così tenacemente cercato per la figlia, ha deciso di donarla, acconsentendo con straordinaria generosità alla donazione degli organi. In Kenya è tornato con la promessa reciproca che dalla storia tragica che ci ha unito sarebbe nato qualcosa, che la storia di Sylvia non sarebbe finita lì ma sarebbe stata l’inizio di qualcosa di nuovo.
E’ proprio per gettare le basi di qualcosa di nuovo, un progetto dedicato alla memoria della piccola Sylvia, che il 24 novembre siamo arrivati a Tuum.
Arrivarci da South Horr, a dire il vero, non è stato semplice. Il gruppo FTC ha impiegato 6 ore a percorrere 60 km di strada con continue soste forzate per un guasto al motore. Alfred, Daniele ed io invece ci siamo trovati ad attraversare a piedi di notte e sotto la pioggia il monte Nyiro, in quella che è stata anche letteralmente una delle più grandi avventure che abbia mai vissuto, ma questa è un’altra storia.
Tutta la nostra permanenza in Kenya è stata intensa, un viaggio con un gruppo allargato di amici e cooperanti, una tabella di marcia serrata con visite a progetti in corso e incontri per progetti potenziali, tante necessità che si misurano con le nostre forze.
Tante sarebbero le storie da raccontare: l’accoglienza calorosa nella missione di Lodongokwe, i progetti agricoli e i water kiosk di Marco e del suo Collective Community Action, l’incontro con il piccolo Mosomo, sostenuto dal nostro programma ‘adotta un malato’, il duro impatto emotivo con la realtà dello SHERP, l’ostello per bimbi disabili a Maralal, o con quella della baraccopoli di Korogocho, la storia incredibile di Rosemary che a Korogocho ci vive ed ha messo su un gruppo straordinario di donne sieropositive che sono un esempio di vita.
Tante sarebbero le storie da raccontare, ma ora vorrei rimanere a Tuum. Alfred ha viaggiato con noi, l’abbiamo caricato a Nairobi al nostro arrivo. Studia social economics e si sta quasi per laureare. Durante il viaggio ci ha detto che avremmo incontrato gli anziani della comunità per discutere del progetto, che lui aveva avvisato del nostro arrivo. L’incontro era fissato per il 24 novembre alle due di pomeriggio. Mai mi sarei aspettato di trovare, in un villaggio non ancora coperto dalla rete cellulare, da cui lui mancava da settimane, una tale partecipazione. La community hall della missione locale era gremita: è stato un pomeriggio illuminante, un incontro aperto, tradotto dall’inglese al samburu, dove quasi tutti i presenti hanno detto la loro. Saluti cordiali ma poca retorica e molte idee, abbiamo ascoltato le richieste e le proposte dei rappresentanti degli anziani, delle donne, dei giovani, del capo della comunità, del direttore della piccola scuola elementare, dell’operatore del dispensario. Si è parlato di approvvigionamento di acqua, di cure mediche primarie, di sostegno all’infanzia, di strutture sportive, di incentivi all’agricoltura. Soprattutto si è parlato anche di pace e di impegno alla non belligeranza, in un momento in cui i pastori sono tutti armati e in cui la tensione tra etnie Samburu e Turkana a volte trasforma una lite in rappresaglie sanguinarie. Il giorno dopo abbiamo toccato con mano questa realtà con la visita al villaggio fantasma di Kawap, abbandonato e saccheggiato dopo uno scontro tra etnie.
L’incontro si è concluso con un bel discorso di Alfred, che ha fatto da trait d’union tra noi e la comunità. Qualcuno nel suo intervento ha esortato tutto il villaggio a seguirlo, perché “Alfred has a vision”. Anche noi ne siamo convinti: nei giorni successivi abbiamo ridiscusso con lui i dettagli della nostra collaborazione ed il supporto di Find the Cure al Sylvia’s Samburu Rainbow Fund è ufficialmente iniziato.

Vi terremo aggiornati.

dott. Marco Vergano

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