Mission IX, capitolo finale
Mission IX si è conclusa qualche giorno fa. L’assenza di collegamento ad internet ci ha impedito di aggiornare il blog durante le ultime due settimane. Fa un certo effetto scrivere dall’Italia, a missione conclusa: inevitabilmente questo post non rispecchia più un diario giornaliero ma una sorta di riassunto, in cui ai fatti si aggiungono le riflessioni del ritorno.
Lunedì 14 febbraio, dopo un viaggio in treno di quasi 24 ore, raggiungo il gruppo FTC Tamil Nadu nel dispensario di Meenthulli. Il giorno stesso andiamo tutti insieme nel vicino villaggio di Rengasamudram, dove Sr Bernadette insegna nella scuola governativa.
Ci aspettano per la tanto attesa lezione sull’igiene dentaria. Distribuiamo a ciascuno dei 50 bambini spazzolino e dentifricio e lasciamo che le nostre ragazze diano il via allo show: infatti la lezione è cantata e il singolo “from pink to white” entra subito nella top ten del Tamil Nadu. I bambini lo imparano in fretta, il preside divertito preferisce filmare il tutto con il suo telefonino.
Già, il telefonino… Anno dopo anno non posso non notare quanto si diffondano anche tra gli strati più poveri della popolazione. Le tariffe sono stracciate in confronto alle nostre, con un euro parli due ore, ma quasi spesso i poveri non hanno credito. Le sisters mi raccontano che conoscono anche dei mendicanti con il cellulare e nei villaggi fa un certo effetto vedere donne che parlano al telefono mentre sono in coda per l’acqua al pozzo o al rubinetto che il governo apre per qualche ora al giorno. L’acqua corrente continua a rimanere un lusso riservato ai benestanti che abitano case in muratura.
In Tamil Nadu in particolare, dove la stagione monsonica è tardiva e breve rispetto al Kerala o al resto dell’India, l’acqua è davvero un bene prezioso durante tutta la stagione secca, è l’elemento che fa la differenza tra un campo arido di arbusti e la possibilità di piantare delle piante di mango o delle palme da cocco. Anche noi impariamo a non sprecare ciò che è prezioso: in bagno adottiamo la politica inglese “when it’s yellow leave it mellow, when it’s brown flush it down”; l’acqua con cui ci laviamo raccolta nel secchio serve anche per il bucato e quella sporca dopo il bucato serve per il gabinetto. Quando poco prima della nostra partenza un insolito piccolo monsone di un paio di giorni interrompe la stagione secca (a detta di Padre Jose e altri, un segno inequivocabile del global climate change) è intenso come ricevere una benedizione dal cielo: la pioggia è torrenziale ma dura pochi minuti, la grondaia comincia a sputare acqua come un drago e veloci insieme alle sisters riempiamo ogni recipiente a disposizione, dai secchi ai bidoni. I primi di acqua sporca servono per le aiuole e le piante, poi quelli per i panni e la casa, gli ultimi per la cucina.
I secchi di plastica sono un’altra delle cose che non riesco a non notare ogni volta che torno in India, come le brocche colorate che le donne trasportano in testa o sul fianco traboccanti d’acqua. Fino a qualche anno fa molte erano in metallo, ora sono una rarità. Di plastica con mio stupore sono anche le barche dei pescatori di Uvari che quattro anni fa erano tutte in legno. Di plastica sono tutte le sedie. Vista la quantità di spazzatura che si trova ai margini di ogni strada in ogni città o villaggio, vista l’assenza di servizi di nettezza urbana nella maggior parte dei centri abitati, mi chiedo quale sarà lo scenario tra 10 anni. O se continuerà la pratica di bruciare i rifiuti sul posto, plastica compresa, mi chiedo cosa respireremo in India tra 10 anni. Già adesso, a volte, accerchiati tra falò di rifiuti e gas di scarico di auto e camion, si ha l’impressione di essere di fronte ad una bomba ecologica. Le tante patologie respiratorie che abbiamo osservato credo ne siano una conferma.
Di asmatici ne vediamo molti. Tanti pazienti anche con tubercolosi, cataratta, enfisema, diabete, scabbia, micosi, gastroenteriti, artrosi, chikungunya, epilessia, tumori, malnutrizione. In quattro giorni abbiamo fatto tre medical camp nei villaggi intorno a Meenthulli, spesso nella scuola locale. L’organizzazione delle sisters è sempre ottima: un’accettazione, 3 postazioni mediche e una postazione di distribuzione farmaci e medicazioni. Alla sera l’attività prosegue nel consueto ambulatorio di Chidamparapuram, in cui ci alterniamo ad aiutare Sr Angela con il suo quotidiano via vai di pazienti.
Il dispensario è una sorta di via di mezzo tra lo studio di un medico di base e un piccolo pronto soccorso. Può arrivare di tutto, da un banale controllo di pressione o glicemia alla crisi asmatica severa (che ricoveriamo anche per un giorno) o al contadino con una lunga scheggia di canna di bamboo nella mano che richiede un piccolo intervento per estrarla.
Non abbiamo mezzi diagnostici, ma riusciamo comunque ad inviare i pazienti che riteniamo meritevoli a fare accertamenti in città. A volte si tratta di una giornata intera tra andata e ritorno, bisogna studiare tutto con le sisters: quanti soldi lasciare, se vanno accompagnati, quando tornare con i risultati. A volte discutiamo del caso per telefono con lo specialista da cui l’abbiamo inviato. Alcuni pazienti vengono registrati nel programma “adotta un malato”, per altri concludiamo la diagnosi ed impostiamo la terapia.
E’ comunque una soddisfazione riuscire a garantire continuità: i pazienti sanno che le sisters ci sono tutto l’anno e le sisters sanno che noi torniamo ogni sei mesi.
Nel complesso un’attività piuttosto intensa, senza mai frenesia ma anche quasi senza sosta: al dispensario di Meenthulli i pazienti arrivano anche mentre mangi oppure la notte. Generalmente se non è nulla di grave Sr Silvie non ci sveglia, ma una notte dobbiamo svegliarla noi perché è talmente stanca che da non sentire neanche i lamenti della paziente e il baccano del lucchetto contro il cancello all’ingresso.
I pazienti non sono l’unica nota che allieta le notti al dispensario: chi se le immagina sotto un limpido cielo stellato e immersi nel silenzio rotto solo dal concerto dei grilli nella campagna circostante non ha tenuto conto delle tradizioni tamil, che amano festeggiare eventi grandi e piccoli (dalla ricorrenza al piccolo tempio indù all’inaugurazione di una casa nuova nel villaggio) con musica a volume stellare che dura per ore, a volte per giorni, compresa la notte. E’ una vera benedizione l’arrivo del mattino, quando la corrente manca per qualche ora e lascia riposare le orecchie.
La notte più tranquilla la dormiamo a Nanguneri, ospiti delle Sisters of Good News dopo una giornata di viaggio e una visita a Kanyakumari, l’estrema punta sud del subcontinente indiano, dove si toccano il Mar d’Arabia, l’Oceano Indiano e il Golfo del Bengala. Il giorno successivo allestiamo un medical camp vicino all’ospizio gestito dalle sisters: non arrivano molti pazienti, ma molti di quelli che vediamo sono casi gravi. Arrivano tutti da una chiesa a una quindicina di chilometri di distanza, dove è tradizione che si raccolgano i malati quando sono disperati, magari dopo essere stati giudicati incurabili e rimandati a casa da un ospedale.
A volte però l’incurabilità è dettata solo dall’impossibilità di pagare le cure, per cui trattiamo una giovane donna con diagnosi di leucemia ed uno stato settico in atto. Quando alla fine della giornata, dopo un trattamento intensivo a base di antibiotici in vena e liquidi, le diamo istruzioni precise, una lettera di presentazione per l’ospedale e i soldi necessari, il padre che l’accompagna non smette di ringraziarci e non riesco a non commuovermi con lui.
Curiamo anche un ragazzino epilettico, che ha sospeso una terapia impostata da uno specialista solo perché ha avuto una nuova crisi. Con tutta la famiglia si è trasferito nella chiesa, il padre ha smesso di lavorare. Arriva da noi in stato di male. Gli reimpostiamo la terapia, ma a fare la differenza è la capacità delle sisters (persone di chiesa ma anche ottime infermiere) di convincerli che insieme alla fede è solo la terapia medica che potrà permettere al ragazzino di tornare a scuola e al padre di tornare a lavorare.
Finito il medical camp, ci rimettiamo in macchina per tornare a Meenthulli dove ci aspettano per cena, ma un guasto alla macchina ci tiene fermi per qualche ora: nonostante la stanchezza, l’imprevisto ci permette di mangiare in una “trattoria” lungo la strada, così anche chi non l’aveva ancora provato può sperimentare porota e curry ultrapiccante mangiati con le mani su una foglia di banano.
A me il piccante manca già, dopo pochi giorni di Italia. Come mi mancano il calore, l’allegria e la professionalità delle Sisters di Meenthulli e la sintonia che si è creata tra noi e loro in pochi giorni. Come l’affetto di tutti gli amici in Andhra Pradesh. Come l’entusiasmo e la generosità del gruppo di Mission IX, splendidi compagni di viaggio.
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