Lo tsunami silenzioso
La scorsa settimana mi ha scritto Elena, un’amica che lavora come anestesista per la Croce Rossa Internazionale e che quest’anno è tornata a Barentu, in Eritrea. Ecco uno stralcio della sua mail:
“Sono oramai qui in Eritrea dall’inizio di gennaio…le condizioni di vita qui sono peggiorate rispetto all’anno scorso. La farina (base della nostra alimentazione…) scarseggia anche per noi: i prezzi sono saliti alle stelle, colpa della crisi globale dei cereali, usati per l’alimentazione dei bovini e per gli “eco combustibili”… La gente non puo’ piu’ permettersi di pagare cosi cara la pochissima farina che si trova al mercato e cosi’ che l’Africa ha sempre piu’ fame… e voi avete l’eco-diesel!
In città ci sono le tessere del razionamento: il governo garantisce alle famiglie delle quantità minime di sorgo, zucchero, olio, ma la gente non se la passa troppo bene. Noi siamo molto lontani dalla capitale, in una delle regioni piu’ povere e calde di questo paese, ma paradossalemnte la gente qui se la cava meglio perchè come sempre quando ci sono restrizioni e tessere alimentari si sviluppa un commercio fiorente di beni di primo consumo nelle zone di confine…e nonostante i divieti e i controlli del governo qui le mercanzie circolano, molto piu’ dell’anno scorso!
L’altra fondamente differenza con l’anno scorso è che, siccome gli americani (e europei?) si sono comprati tutta l’eccedenza di produzione di sorgo del Sudan a prezzi nettamente superiori a quelli che l’Eritrea si poteva permettere, non c’è piu’ la tradizionale birra che da piu’ di mezzo secolo questo paese produceva… e un paese senza la birra è di una tristezza… L’anno scorso era un piacere sedersi nei bar del paese e gustarsi una birra “Asmara” ghiacciata… adesso al massimo c’è l’acqua gasata, che non è la stessa cosa…”
Mi ha colpito sentire raccontare di persona gli effetti di quello che fino a poco fa avevo soltanto letto sui giornali. Anzi, direi anche con una certa fatica, perché da sempre in Italia le notizie che non riguardano la politica o gli interni difficilmente trovano molto spazio sui media. Da quando è caduto il governo e ci sono state le elezioni, quello spazio è diventato ancora più misero. Nelle ultime settimane eventi catastrofici come il terremoto in Cina e il ciclone in Birmania hanno dovuto lottare per avere un poco di visibilità. Un giornalista tempo fa ha teorizzato che “per fare notizia, il numero dei morti deve essere proporzionale alla distanza”: beh, nonostante si parli di villaggio globale, per gli Italiani il resto del mondo rimane molto distante!
Non c’è quindi da stupirsi se non molti di noi hanno sentito parlare del cosiddetto “tsunami silenzioso”: non è un evento improvviso ma è ugualmente una catastrofe, è la nuova crisi alimentare globale. Non è una carestia, anzi, la produzione mondiale di cibo si stima non sia mai stata così alta. Eppure, una serie di fattori – tra cui le politiche protezionstiche di Stati Uniti, Russia ed Unione Europea, la corsa ai biocarburanti, l’aumento del consumo di carne nei paesi in via di sviluppo – sta creando un aumento vertiginoso dei prezzi che ha già scatenato rivolte in decine di paesi, dall’Egitto ad Haiti all’Indonesia.
Se ci pesa un aumento di 50 centesimi su un litro di carburante quando facciamo il pieno, pensiamo a quanto può pesare un aumento di un dollaro sulla farina o sul riso per una famiglia che vive con 2 dollari al giorno.
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